Ti siedi, mi mostri le mani con il giusto tasso di vergogna e senso di colpa – e lasci che io prenda in custodia le tue estremità nonché la tua firma sul mondo.
La procedura è sempre la stessa. Prima, ti faccio mettere le mani a bagno in una ciotolina con acqua tiepida. Per ammorbidirti la pelle delle dita, o magari è solo un trucco per farti sentire che stai entrando in una dimensione più chic della tua esistenza: tu sei lì, con le mani a mollo, e per un attimo ti senti come Audrey Hepburn, mentre i tuoi pollici raccontano settimane di lotte con i sacchetti biodegradabili.
Passo alla cuticola. La cuticola è una di quelle cose di cui non sapevi nemmeno l’esistenza fino a quando qualcuno – tipo me – non te l’ha indicata (come accade con certe persone tossiche nella tua vita). Te la spingo indietro con un bastoncino di legno di arancio – sì, hai capito bene, un bastoncino di legno di arancio, lo stuzzicadenti non è all’altezza – e tu stai lì a chiederti: “Ma tutta questa roba era davvero necessaria?”. E la verità è che, se te lo stai chiedendo, è già troppo tardi.
Segue la fase dello scrub. Ti spalmo una crema granulosa sulle mani, qualcosa che sembra un incrocio tra sabbia da spiaggia e yogurt alla fragola. Ti strofino, ti risciacquo e, improvvisamente, le tue mani sono più lisce di quanto siano mai state in tutta la tua vita. Non è che fosse una tua priorità, ma ora che è successo non puoi più tornare indietro.
Arrivo alla maschera idratante: una carezza a un muro che crolla lentamente. Te la spalmo con devozione, poi ti avvolgo le mani come se dovessi spedirle in uno di quei pacchi fragili da maneggiare con cura, mentre tu resti lì, come un’opera d’arte sotto restauro.
È il turno della lima, ovvero la katana della nailtech. La faccio volteggiare come in un’arte zen; la agito, la capovolgo, apro portali, sembra che davvero possa avere tutto un senso ma l’unico senso che ci troverai quando la riutilizzerai a casa sarà quello di farti saltare pezzi di unghia dolorosissimi.
A questo punto si passa al pezzo forte: lo smalto. Colori nude se vuoi sembrare appena uscita dal convento, rosso fuoco se sei in fase di espansione e conquista, nero se vuoi far sapere a tutti che ascolti ancora i Cure.
Alla fine, una passata di crema idratante sulle mani. Ti massaggio come se stessi per firmare il Trattato di Versailles, e per un attimo credi davvero di essere una persona di classe. Lo vedo dal modo in cui ti ricomponi sulla sedia, come se qualcosa avesse avuto senso.
Quando finisce tutto, ti guardi le mani e pensi: “Sono bellissime”. Passeggi verso casa e ti senti più leggera. Per una volta hai deciso di concederti “il superfluo” anche tu. Hai pagato il costo del fascino e adesso te lo senti tutto addosso. Te ne vai in giro portando addosso queste mani fatte per firmare contratti, ricevere anelli di matrimonio, accarezzare gattini e schiaffeggiare la realtà.
Per un attimo pensi: “Forse posso farcela”.
Torni a casa, e ti si incastra un’unghia nel manico della zanzariera. Allora prendi un ascensore emotivo e scendi al piano terra. Da quella prospettiva ti dici che è tutta una stupida metafora. Che quella era solo una promessa, come l’amore o il Black Friday: ti dà un assaggio di qualcosa che non puoi veramente avere, ma che vuoi comunque inseguire.
E quello smalto non ha rimosso un pelo del tuo caos, MA l’ha reso esteticamente più sopportabile, momentaneamente…