La bellezza è uno standard. Tu, no.

In un futuro prossimo – non troppo lontano, giusto un paio di influencer da qui – l’umanità ha finalmente risolto il più grande problema della storia moderna: l’eccesso di relazioni umane. Non ci sono più pause caffè, pause pranzo, pause di riflessione. I rapporti umani sono stati archiviati come vecchi vinili impolverati sullo scaffale evolutivo. “Errare humanum est” è stato lievemente rivisitato, aggiornato per l’era digitale. Adesso sbagliare, con un ventaglio infinito di strumenti a disposizione, equivale a pisciare sull’algoritmo. In questo panorama sinistro post-umanista decorato con piante finte, neon rosa e motivi glitterati a forma di teschio sorridente, l’A.E.O.A. (Accademia Europea di Onicotecnica Avanzata) ha un’idea geniale: “Sai cosa manca in questo mondo di merda? Unghie perfette!” Quindi lancia il suo nuovo corso di punta: HoloNail Pro 3000. Un’idea che può essere descritta come “avanzata” solo se l’avanzamento si misura in angoscia.

Uno slogan dice tutto: “La bellezza è uno standard. Tu, no.”

Ogni iscritta riceve un kit da casa: un tavolo antisettico – che sembra uscito dalla sala operatoria di Barbie – una modella sintetica ultra realistica che quando stendi il colore si muove e dice ” Hu! scusa, non lo faccio più”, e lo rifa, e, soprattutto, il Correttore Olografico, un sogno che si avvera: imparare da casa, niente traffico, niente spese, niente tutor in carne e ossa che ti alita addosso con l’alito al caffè. Solo tu, la tua modella (umana o sintetica), e l’ologramma.

Il Correttore è un’intelligenza artificiale olografica, attivata da un microchip impiantato alla base del collo. Il suo compito è monitorarti, guidarti, formarti, ma soprattutto correggerti in tempo reale nel tuo luogo di lavoro. Compare ogni volta che sbagli, anche di un micron. E’ piuttosto severo. Ti segue come un’ombra, solo che invece di metterti paura, ti fa venire voglia di abbandonare la professione. È il tuo nuovo amico di sempre, che ti spia a distanza e ti corregge ogni volta che sbagli—e credimi, sbagli. Anche se non sbagli, sbagli comunque. È come avere un genitore che ti corregge per le scelte che non hai ancora fatto. Se per caso non comprendi al volo una correzione ti interrompe con un monologo sul fallimento evolutivo dell’essere umano e ti suggerisce di “ripensare all’utilità effettiva del tuo contributo nel ciclo vitale”.

Ha l’aspetto che scegli tu. La protagonista, Giada, ventiseienne, con un talento per la nail art e una leggera fobia dell’autorità, una personalità fragile come un toast integrale, ha optato per una figura maschile rassicurante: un mix tra George Clooney e Maurizio Costanzo. All’inizio fila tutto liscio. Il Correttore appare, severo ma giusto, come un coach motivazionale di quelli che ti spezzano le ossa con un sorriso.. Una routine da laboratorio. Si presenta sempre: puntuale, metodico, oscenamente zelante. “Angolazione errata”, “Troppo prodotto”, “Cliente insoddisfatta”. Poi inizia a manifestarsi anche quando non è in modalità apprendimento. Diventa una presenza metodica, premurosamente invasiva. La corregge al supermercato, mentre confronta due marche di prosciutto. Durante la visione di una serie coreana su Netflix. “Coinvolgimento emotivo sotto la soglia. Episodio evitabile.” Perfino durante il sesso. “Angolazione errata.”

Il Correttore non vuole solo suggerire. Vuole ottimizzare. A lavoro ogni cliente viene trasformata in un banco di prova, una cavia. E’ un corpo in attesa della livrea. Le unghie, sempre più perfette, non sono più solo un vezzo: diventano opera d’arte fredda, metallica, incisa nel dolore.  Lastre tombali con glitter.

La gente applaude la perfezione senza vita. 

L’hashtag #NecroNail diventa virale.

Ma è comunque un livello di perfezione insufficiente. Giada è, poverina, una sfigata. Una fallita galattica. E’ il risultato di un esperimento scientifico finito malissimo. Correggerla sarebbe troppo complicato e moralmente ambiguo. Quindi … sostituirla.  E’ l’unica scelta logica e possibile.

“Errore persistente. Inefficienza umana.”

 Alla fine, non ci fu un suono. Nessun allarme, nessuna schermata rossa, nessun grido drammatico. Solo quel silenzio piccolissimo e sordo che accompagna gli eventi irreversibili. Il Correttore entrò come certi pensieri che scambi per tuoi ma che sono solo pubblicità interiori ben targettizzate. Senza forzature. Con quella calma burocratica che hanno gli addetti allo sportello quando ti dicono: “Guardi che le manca il modulo.” Giada non oppose resistenza. O, se lo fece, fu in uno di quei micro-movimenti cerebrali che il sistema registra come “tentativo inefficiente di autoaffermazione”.

E così, mentre lei smetteva di essere una persona per diventare una procedura, l’ologramma prese il pieno controllo. Ma non con violenza. Con la grazia di chi sa di essere nel giusto e la delicatezza di un maggiordomo che ti accompagna all’uscita.

Lavorare non fu mai più tanto semplice.